“E la neve ci illumina dai prati come luna”.
Lo stile di Quasimodo
Poeta Siciliano, massimo esponente dell’Ermetismo, la sua poesia è nota per il linguaggio scarno, spesso velato di tristezza, eppure mai privo di originalità e finezza intellettuale. Tra i maggiori interpreti della condizione dell’uomo moderno, la poesia ermetica di Salvatore Quasimodo nasce dal bisogno di concretezza, in opposizione al Romanticismo e al sentimentalismo imperanti, per sfociare, con l’esperienza della II Guerra Mondiale, nella fase neorealista. È una poesia, questa, di forte impegno civile, corale, che aspira al dialogo più che al monologo. Dal punto di vista stilistico, il verso si allunga e diventa più lineare, discorsivo e narrativo, i temi si ampliano e il tono di denuncia segue un messaggio più facilmente accessibile e comunicativo.
Alle fronde dei salici
E come potevano noi cantare
Con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
19 Gennaio 1944
Ti leggo dolci versi d’un antico,
e le parole nate fra le vigne,
le tende, in riva ai fiumi delle terre
dell’est, come ora ricadono lugubri
e desolate in questa profondissima
notte di guerra, in cui nessuno corre
il cielo degli angeli di morte,
e s’ode il vento con rombo di crollo
se scuote le lamiere che qui in alto
dividono le logge, e la malinconia
sale dei cani che urlano dagli orti
ai colpi di moschetto delle ronde
per la vie deserte. Qualcuno vive.
Forse qualcuno vive. Ma noi, qui,
chiusi in ascolto dell’antica voce,
cerchiamo un segno che superi la vita,
l’oscuro sortilegio della terra,
dove anche fra le tombe di macerie
l’erba maligna solleva il suo fiore.
Neve
Scende la sera: ancora ci lasciate
o immagini care della terra, alberi,
animali, povera gente chiusa
dentro i mantelli dei soldati, madri
dal ventre inaridito dalle lacrime.
E la neve ci illumina dai prati
come luna. Oh, questi morti. Battete
sulla fronte, battete fino al cuore.
Che urli almeno qualcuno nel silenzio,
in questo cerchio bianco di sepolti.
Uomo del mio tempo
Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
Quando il fratello disse all’altro fratello:
«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
Salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.
Fonte:
S. Quasimodo, Giorno dopo giorno (Mondadori, 1965)
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